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  • nadiagrotto

Un nuovo isolamento… si chiama Hikikomori

"La luce mi disturba… meglio il buio… tanto non ho orari….

Resto qui.. nella mia stanza e gioco tutta la notte.. c'è silenzio…

soltanto noi che ci sfidiamo in Rete. Oltre quelle finestre c'è gente che non mi piace…

In questa stanza mi sento tranquillo"

Nella sua stanza-rifugio Paolo non alza mai le tapparelle.. i vetri sono “schermati”.. c’è odore di chiuso… le tende sono tirate… non esce (storia di Paolo, 16 anni.. Roma)


Il fenomeno è sconosciuto, quasi “invisibile” come i soggetti che ne soffrono ma è sempre più diffuso, si chiama “Hikikomori” e in Giappone, dove è stato inizialmente studiato, significa “stare in disparte”.

Colpisce soprattutto adolescenti ma non solo.. può interessare anche 30enni… 40enni o addirittura 50enni, persone che non sono mai riuscite ad uscirne.

Non li vediamo perché la loro vita si svolge quasi interamente in una stanza.. di solito la camera da letto.

Si rifiutano di uscire all’aperto, di vedere gente, soprattutto i coetanei e rifiutano ogni rapporto sociale.

Nella loro stanza… leggono, dormono, mangiano, disegnano, ascoltano musica e giocano… in modo particolare con i videogiochi e navigano su Internet.

Fuori non escono!

Vivono “virtualmente”.. una vita “digitale” che protegge dal giudizio esterno, che protegge dal dolore del confronto, quello con gli altri.. quelli “reali”.. il confronto che li ha fatti soffrire.

Non si tratta di dipendenza dalla tecnologia poiché l’abuso ne è soltanto una conseguenza e non la causa; lo schermo del pc o il telefonino diventa per loro un rifugio, una finestra virtuale aperta verso il mondo, una finestra costruita su misura, un nuovo guscio protettivo che permette di stare “al sicuro” isolando da tutto ciò che stà fuori e che può scomparire con un solo “touch”.

Spesso giocano e competono via web attraverso una nuova immagine virtuale... un corpo “avatar” che si costruiscono, un corpo perfetto che riesce a competere con il mondo intero senza il rischio del rifiuto, del giudizio o della condanna.

L’esordio è generalmente verso i 13-16 anni ma interessa tutta la fascia dei pre adolescenti, degli adolescenti o della prima età adulta. Sono tendenzialmente introversi, dotati di spiccata sensibilità, intelligenti e con buoni voti a scuola; ragazzi che iniziano il ritiro sociale con il rifiuto di partecipare a eventi mondani; preferiscono stare in casa, preferiscono “chattare” piuttosto di incontrare e anche lo sport praticato da tempo non rientra più nei loro interessi, nemmeno la partita di calcio della domenica.

Un po’ alla volta si isolano anche dai familiari e la loro camera da letto diviene il loro habitat esclusivo, le assenze a scuola si fanno sempre più frequenti finchè arriva l’abbandono scolastico e la porta della camera si chiude.

Il ritmo sonno-veglia si inverte.

Nessuno riesce più a dialogare con lui… Lui è “isolato”

Questo avviene anche in giovani che amano studiare, giovani che hanno sempre coltivato sport o altre passioni; il disagio non è verso lo studio o la scuola o i professori, il disagio è verso la socialità con i compagni e verso le performance che gli vengono richieste.

Si sentono diversi, hanno una visione cinica e negativa della realtà circostante, non sentono di rispondere ai modelli di riferimento in cui tutti credono, spesso è conseguente ad un episodio di bullismo, di derisione o di esclusione dal gruppo dei pari, episodio che sviluppa un profondo senso di vergogna che viene esteso a tutte le relazioni. Il proprio corpo diventa così uno strumento scomodo, screditato, un’immagine fallimentare di Sé stessi, diventa ragione di dolore.

Considerando che a 15 anni le sensazioni molto spesso predominanti sono la noia e la solitudine e possono essere risolte soltanto con la condivisione e la compagnia degli altri, il sentire di non essere “all’altezza” porta in questi giovani all’annullamento del proprio corpo: “non vado bene… mi annullo… mi ri-tiro (tiro via)”.

Proibire al proprio figlio l’uso del computer o del telefonino non è la strategia per “guarirlo”, non è la strada giusta per farlo uscire dall’isolamento.

Per aiutare un giovane ritirato è necessaria la cooperazione attiva di varie persone adulte che fanno parte della sua vita; genitori, parenti, insegnanti, scuola, educatori, medici, e psicologi. Tutte figure che attraverso un intervento di equipe finalizzato e personale, attraverso la comprensione, la pazienza, l’empatia e la determinazione si impegnano sinergicamente, giorno dopo giorno ad aiutare il ragazzo a riacquistare fiducia e capacità di fronteggiare nuovamente le relazioni sociali.

L’obiettivo condiviso è ri-conoscere … un giovane “smarrito”


Il silenzio

L’omertà

Ostinarsi a “non vedere” il problema

Non ti aiuta

E non aiuta chi è ri-tirato


Per ulteriori informazioni: www.hikikomoriitalia.it


Dott.ssa Nadia Grotto

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